Post by Nicola de AngeliOn Wed, 19 Jan 2005 13:03:53 GMT, "Noquarter"
Post by NoquarterGrammaticalmente, alle parole provenienti da lingue antiche si applicano le
stesse regole delle lingue moderne?
Si lasciano invariate.
Ciao
Nicola
Assolutamente sì.
Ho trovato questo documento davvero esplicativo:
Come diceva Tristano Bolelli, grande linguista che fu anche presidente
dell'Accademia della Crusca:
Quanto al latino, si sa che l'uso di citazioni è fatto, salvo eccezioni,
da uomini che il latino lo sanno poco o non lo sanno affatto. È
difficile trovare un latinista vero che ostenti citazioni nella lingua
di Roma se non forse per scherzare, come fece una volta un mio caro
collega, cattedratico, appunto, di Lingua e letteratura latina, che
disse: Intelligenti pauca […] e facetamente tradusse "A chi capisce poco".
E poi, come la mettiamo: diciamo curricula, e va bene. Ma poi diciamo
anche, chessò, sponsores? Ci pensate?
"Tra gli sponsores della squadra juniorum Juventutis c'è il sito
Immaginaria."
E già, perché se decidiamo di flettere le parole latine secondo le
regole della grammatica latina, dovremmo probabilmente anche concordarle
con i casi. Quindi vai col genitivo ("La pletora curriculorum che ricevo
ultimamente mi opprime…") e con il dativo e l'ablativo ("Non pensavo che
mi sarei abituato così facilmente mediis quali la televisione
satellitare").
No, no, no, non ve lo consiglio. Il latino è una lingua straniera che,
certamente, ha con l'italiano un rapporto molto stretto, ma non è
l'italiano. E quindi, va trattata come le altre lingue straniere, dalle
quali prendiamo in prestito parole che trattiamo come invariabili,
indeclinabili, immodificabili (a meno che voi facciate ogni sera il giro
dei bars, per parlare dei vostri sports preferiti).
I grammatici, in effetti, tagliano netto: le parole straniere si
mantengono invariabili, in particolare poi quando sono entrate nell'uso
comune: bar, sport, computer, film … Ecco cosa dice la Grammatica
Italiana di Maurizio Dardano e Pietro Trifone (Zanichelli, 1995, p. 194):
Le grammatiche e i dizionari sono abbastanza compatti nel consigliare il
mantenimento della forma del singolare anche al plurale.
E il Serianni (Italiano , Garzanti, 1997, p. 106): "In che modo formano
il plurale i nomi stranieri terminanti in consonante? In generale, il
nome resta invariato".
In controtendenza, invece, sembra una risposta che trovo nel sito
dell'Accademia della Crusca, ma con qualche ambiguità. Il redattore
esordisce infatti:
La parola latina curriculum entra in italiano attraverso la locuzione
invariabile curriculum vitae 'corso della vita in breve' (prima
documentazione in italiano 1892) e solo successivamente si trova la
forma singola curriculum (documentato in italiano dal 1941). Anche la
parola singola si afferma nell'uso nella forma invariabile, e nei
vocabolari italiani è appunto annotata come sost. masc. inv.
Appunto, sost. masch. inv. (invariabile). Poi, però, continua:
Sappiamo però che questo sostantivo in latino apparteneva al genere
neutro per cui entrando nell'italiano ha subìto un passaggio di genere,
venendo assimilato ai nomi maschili. Proprio questo passaggio di genere
produce problemi e incertezze nel momento che si consideri la forma
plurale; infatti, anche se esiste la forma adattata in italiano
curricolo con il suo plurale regolare curricoli , il termine originario
latino continua ad essere quello preferito e più utilizzato. Il plurale
di curriculum è senza dubbio curricula , ma questa forma viene usata con
qualche resistenza perché, se la forma singolare è talmente diffusa che
si suppone sia conosciuta da tutti, il plurale del neutro latino con la
tipica terminazione in - a è più lontano dal sistema morfologico
dell'italiano e presuppone la conoscenza almeno delle nozioni elementari
del latino. Si può quindi scegliere tra la parola italianizzata
curricolo con plurale curricoli o la forma originaria latina curriculum
con il suo plurale curricula .
Ma questa mi pare un'argomentazione che ha al suo interno la ragione
stessa per cui potrebbe essere rigettata: se curriculum, in latino, è
neutro, è indubbio che in italiano diventa maschile. Ma, allora, come
giustificare un plurale neutro (curricula) per un nome maschile? Non è
meglio, a questo punto, mantenerlo invariabile? Oppure optare per
l'elegante soluzione della forma italianizzata "curricolo / curricoli"?)
Mentre non mi convince l'argomentazione del cruscante, trovo più
interessante quella di Birattari (Italiano, Corso di sopravvivenza ,
Ponte alle Grazie, 2000, p. 250):
Vale per le parole latine quel che si è detto per le parole straniere in
generale: in italiano sono invariabili. Quindi il plurale di curriculum
è i curriculum . Può capitare benissimo, però, che se scrivete in una
richiesta di lavoro di aver "inviato altri curriculum alla vostra
attenzione", la vostra lettera capiti in mano a un selezionatore del
personale che tutte le sere prima di addormentarsi si ripeta le tabelle
delle declinazione e dei paradigmi latini e leggendo curriculum al posto
di curricula cestini sdegnato la vostra lettera.
Ma capite che, in questo oscuro selezionatore, non è difficile scorgere
i tratti di un individuo con qualche problema caratteriale accanto al
quale potrebbe rivelarsi molto difficile lavorare. Quindi, decidere di
mantenere curriculum invariato al plurale potrebbe anche essere un modo
intelligente per fare a vostra volta una prima scrematura delle proposte
di lavoro.
--
Tamara
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In un vortice di polvere gli altri vedeva siccità, a me ricordava la
gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa...